A seguito di romanzi e film –
da “Intevista col vampiro” a “Twilight”, al “Dracula” di
Coppola - i signori delle tenebre hanno ripreso possesso del nostro
immaginario fantastico e, di conseguenza, il “padre letterario”
di questi moderni succhiasangue è stato richiamato in vita. Sul
“Dracula” di Bram Stoker si è scritto di tutto e di più, spesso
associandolo alla figura storica di Vlad III l'Impalatore (Tepes vuol
dire proprio questo) e, altrettanto spesso, portando avanti
l'immagine del Conte vampiro come mito “romantico”. In questo
articolo, invece, troverete qualcosa di diverso: una serie di spunti
di interpretazione del romanzo di Stoker sotto l'aspetto
storico-folclorico, politico, psicologico ed estetico.
Quanto il Dracula di Stoker
“assomiglia” alla figura storica di Vlad Tepes e quanto è
coerente con la tradizione folclorica dell’epoca nella quale visse
il voivoda
Innanzi tutto, partiamo da una
prima distinzione: quella fra vampiro letterario e vampiro
folclorico.
Laddove in letteratura, dal Lord
Ruthven de “Il vampiro” all’Edward di “Twilight”, abbiamo
la figura del gentiluomo, dandy aristocratico o comunque, per
riferirsi appunto a personaggi contemporanei, prototipo del “bello
e dannato” e schiere di fanciulle avvenenti dal fascino perverso
(ad esempio Geraldine di Coleridge, Carmilla di Le Fanu, fino a tutte
le recenti “sorelle di sangue”), i vampiri della tradizione
popolare – e qui ci riferiamo in particolare al folclore greco e
balcanico di epoca bizantina e post-bizantina, cioè il periodo nel
quale visse Vlad Tepes – sono cadaveri ambulanti più simili agli
zombie (se vogliamo un riferimento cinematografico), spesso gonfi
come palloni e dalla faccia rubizza.
I vampiri delle leggende, insomma,
non sprizzano fascino da tutti i pori ma – molto più banalmente,
visto che sono cadaveri, per quanto piuttosto vivaci – liquami
orribili e servono, in particolare al clero, come memento ai
fedeli per ciò che può succedere al cristiano che muoia scomunicato
o comunque non in grazia di Dio.
Un vrykolakas secondo la tradizione popolare balcanica |
Altra cosa interessante: i vampiri
della tradizione popolare greca e balcanica non sempre bevono sangue (quelle sono alcune varietà di streghe), e quindi fra i revenants
i casi di ematofagia sono rarissimi. I vrykolakes o i
tympanaioi, se proprio devono bere qualcosa, spesso
preferiscono il latte, motivo per il quale sfiniscono il bestiame
mentre con i viventi, anziché attaccarli alla giugulare, attaccano briga, nel senso che li prendono a pedate o a pugni,
oppure, semplicemente, li spaventano.
Pochi sono i riferimenti a morsi
“infettivi” - che nella letteratura, invece, sono
l’unico sistema per diventare vampiri - perché nella tradizione
popolare il vampiro era considerato sì, causa di epidemie, ma non di
epidemie vampiriche, quanto della diffusione di morbi come la peste. [1]
Un vampiro letterario come il
Dracula di Stoker, perciò, quando presenta agganci folcloristici
relativi al periodo nel quale visse Vlad Tepes, non lo fa tanto
riguardo alle trasformazioni del Conte in lupo o pipistrello, che
nelle leggende non erano specifiche prerogative del vampiro ma
della strega, del negromante e di altri esseri demoniaci, quindi di
personaggi afferenti al mondo delle tenebre ma non classificabili fra
i revenant, quanto riguardo alla questione
dell’origine del vampiro. Come abbiamo detto, le leggende riportano
che un cadavere può rianimarsi per due motivi:
- perché in vita la persona era stata cattiva, violenta e sanguinaria ed era morta senza potersi redimere, diventando così facile preda di qualche demone;
- perché in vita la persona era stata scomunicata, tanto è vero che in alcune zone della Grecia e dei Balcani, “eretico” era sinonimo di vampiro.
Pare proprio che il nostro Vlad
rientrasse almeno nel primo dei due casi citati sopra.
Il fatto è, però, che seguendo
la tradizione, una volta morto, il cadavere di Vlad non sarebbe mai
potuto passare per quello di un dandy nemmeno al più sprovveduto
degli occidentali e forse ci saremmo trovati di fronte a un Conte
zombie dalla pancia gonfia.
Cosa significa questo? Significa
che Stoker, come tutti gli scrittori, ha attinto da più fonti
e ha unito alla materia storica e
folclorica quella già letteraria e molto più “glamour”,
presente nel personaggio di Lord Ruthven, ovvero il protagonista
della novella “Il vampiro” (1819) di John Polidori e del “sequel”
di Charles Nodier, “Lord Ruthven il Vampiro” (1820).
John William Polidori (1795-1821) |
George Gordon Byron (1788-1824) |
Il Vampiro è un invasore:
spunti di riflessione per una lettura “politica” di
“Dracula” di Bram Stoker
Se teniamo conto che Lord
Ruthven era ispirato a Byron, bello, giovane, libertino e tombeur
de femmes, capiamo allora perché Mina Harker (come le fanciulle
sedotte e abbandonate da Ruthven) non fosse riuscita a resistere al
fascino “oscuro” del Conte vampiro, nonostante (diversamente da
quanto mostrato nel film di Coppola) non se ne fosse mai innamorata e
di primo acchito non le fosse sembrato particolarmente avvenente.
Già, perché la prima volta che
Mina vede Dracula, lo descrive così:
“(…) un uomo alto, magro, dal naso a becco, baffi neri e barba a punta (…) Non aveva certo un volto onesto: il suo era un viso duro, crudele, sensuale, e quei grandi denti candidi, che tanto più bianchi apparivano perché così rosse erano le labbra, erano aguzzi come quelli di un animale." [2]
In effetti, il resoconto
sull’aspetto fisico del Vampiro ci fa visualizzare subito il famoso
ritratto di Vlad, nel quale il naso adunco, lo sguardo duro e i baffi
neri sono tratti che balzano subito all’occhio.
Vlad III di Valacchia (1431-1476) |
Ma allora, Mina si lascia
sedurre da un uomo dall’aspetto quasi ferino oppure viene “presa
con la forza”? Nella scena descritta da Seward [3] e nelle successive lamentazioni
della vittima a Van Helsing, ci sembra di dover propendere per la
seconda ipotesi, ma sta di fatto che una parte di lei, quella in
contatto diretto, telepatico, con Dracula, collabora attivamente e
accetta le “nozze di sangue” proposte dal Conte.
Dobbiamo supporre, dunque, che
la visione riportata dai due uomini sia parziale, o quanto meno, non
possa essere diversa e che Mina stessa, interpellata in merito, vi si
conformi per non rischiare di subire lo stesso trattamento che essi
hanno riservato a Lucy?
Immaginiamo che uno Straniero
dai tratti somatici molto diversi da quelli degli autoctoni arrivi in
un certo Paese e cerchi di sedurne le donne, le stesse donne che,
rappresentando una “proprietà”, hanno garantito “continuità e
purezza” della razza… immaginiamo che queste donne, dapprima
refrattarie e impaurite, alla fine cedano, catturate dalle lusinghe
che lo Straniero può offrire, cioè giovinezza imperitura, assenza
di coercizioni moralistiche, possibilità di vivere da “protagoniste”
e non semplici “assistenti” al fianco di un uomo. La forza di
seduzione e – mi si passi il termine – “penetrazione” di
questo Straniero nell’assetto sociale sarebbe enorme e agli uomini,
per mantenere lo status quo, non resterebbe che tentare di
annientarlo.
Se questo può essere uno dei
molteplici piani di lettura che “Dracula” offre, allora
l’opinione dei personaggi di Stoker è piuttosto chiara e, per
certi versi, incredibilmente attuale: la “contaminazione”
(culturale e del sangue) - oggi in maniera molto più politically
correct diremmo il melting pot - per quanto possibile va
evitata, anche se il nuovo si presenta come soggetto economicamente e
culturalmente interessante (il Conte è ricco e uomo di cultura).
Ma come è possibile farlo? La
potenza dell’invasore straniero è sterminata…
Ecco che, allora, Stoker rimette
in equilibrio le forze opponendo a Dracula un altro straniero, Van
Helsing, che funge da alter ego e – seppur alla luce di una
speciale “metafisica scientifica”, perfettamente in linea con il
doppio binario del pensiero dell’epoca: non solo scienza, ma anche
spiritismo e misticismo – darà all’oscuro signore… pane per i
suoi denti.
[4]
Abraham van Helsing (Anthony Hopkins) nel Dracula di Bram Stoker (1992) di Francis Ford Coppola. |
Il Vampiro è un sovversivo:
spunti di riflessione per una lettura “psicologica” del “Dracula”
di Bram Stoker
Stoker
amplifica – se così si può dire – i poteri di Dracula rispetto,
per esempio, a quelli di Lord Ruthven.
Dracula, infatti, come accennato
sopra, incarna un enorme potere sovversivo: oltre al fatto che di per
sé il vampiro è in grado di sovvertire l’ordine del cosmo facendo
della morte una non-morte, il Conte è anche un aristocratico che
sfida apertamente la società borghese occidentale e la sfida proprio
su un terreno che essa crede di controllare in modo scientifico: la
sfera delle emozioni e della sessualità.
Dracula, agli occhi del medico e
dello scienziato positivista, tanto più a quelli dell’uomo
d’azione d’Oltreoceano, è nulla più che una leggenda oscura, un
incubo riemerso dalle profondità del tempo e come tale va trattato,
ovvero opponendogli i lumi di una sana razionalità.
La sorpresa e il senso di
impotenza perciò sono enormi quando, per esempio, il “male” che
si è impossessato di Lucy tiene tutti in scacco e la follia irrompe
nella quotidianità travolgendo e sovvertendo ogni regola. La gentile
fanciulla di prima, amante della vita, si è trasformata in un mostro
assetato di sangue, che rapisce bambini e non esiterebbe a sedurre e
uccidere ciascuno dei suoi pretendenti, fidanzato compreso.
Possiamo allora vedere in Arthur
il giovanotto di buonissima famiglia che, dopo aver perso la testa
per una ragazza dai costumi troppo “facili”, alla fine ritorna in
sé (uccidendo quell’immagine di donna fatale che l’avrebbe
irrimediabilmente traviato e spinto ai margini) e riprende il proprio
posto nella società?
La scena dell’annientamento di
Lucy ha, a tratti, il sapore di un rito di iniziazione e di esorcismo
nei confronti di un demone femminile, come potrebbero essere la
Lilith giudaica o la stessa dea Khali.
È lui, il promesso sposo, a dover
piantare il paletto nel cuore dell’amata-vampiro e lo fa guidato
dal sacerdote (Van Helsing) e circondato dagli altri uomini del clan.
Non è quindi un caso che poi Arthur, morto suo padre, prenda il
titolo di Lord Godalming: dopo l'annientamento di Lucy è divenuto
adulto a tutti gli effetti.
Arthur (Cary Elwes) pianta il paletto nel cuore di Lucy (Coppola, 1992) |
A dir la verità, però, Lucy non
è la prima vittima di Dracula. La prima vittima è Jonathan Harker,
che soccombe al Conte in modo piuttosto ambiguo.
Dracula, infatti, lo reclama per
sé e lo strappa alle grinfie delle sue concubine vampire; è allora
che Harker capisce di non poterlo combattere: il Conte è troppo
forte e l’unico modo per salvarsi è fuggire.
Da cosa sta fuggendo Harker? Forse
dalla presa di coscienza che davanti a sé ha un matrimonio che
“crede” di desiderare, quando invece la sua natura lo porterebbe
a fare esperienze di tipo ben diverso?
Jonathan Harker (Keanu Reeves), ormai preda delle tre vampire, viene sorpreso (e salvato) da Dracula (Coppola, 1992) |
E Mina Harker, dopo aver
conosciuto Dracula, non è forse dibattuta fra lo scegliere una vita
tranquilla, da donna sposata e un futuro sicuramente più avventuroso
e passionale?
Mina (Winona Ryder) sedotta da Dracula (Gary Oldman) in una famosissma scena del film di Coppola (1992) |
Non si può interpretare “a
posteriori”, d’accordo, ma teniamo conto che quando esce il
romanzo di Stoker, gli studi sull’isteria e l’ipnosi sono già
ben che avviati e la rivoluzione di Freud è alle porte. Le
lacerazioni dell’anima, l’irrompere delle forze dell’inconscio
e la progressiva diffusione del morbo depressivo (il male oscuro,
prerogativa della classe borghese) del resto, presentano sintomi che
assomigliano in maniera inquietante al deliquio nel quale Dracula
lascia le proprie vittime.
Il Vampiro è un seduttore:
spunti di riflessione per una lettura “estetica” del Dracula di
Bram Stoker
È il cadavere di un uomo
dall’aspetto ferino, è spietato, crudele e incute un terrore folle
in chiunque lo incontri… ma allora perché piace così tanto? Cos’è
che lega al Vampiro in una intensissima relazione di
attrazione-repulsione non solo i personaggi del romanzo di Stoker, ma
sterminate legioni di lettori (e scrittori)?
Per iniziare, possono risultare
illuminanti le considerazioni di Gianni Pilo, nella prefazione a
“Storie di Vampiri”:
“Attraverso la macabra e grottesca figura onirica del vampiro l'uomo ha dato forma e consistenza ad un suo prometeico sogno di immortalità, che la morte continuamente dissolve. L'immagine di un essere notturno resuscitato dalla tomba che solitario si aggira tra il mondo addormentato dei vivi per suggerne il sangue, affascina e insieme terrorizza. È il fascino e il terrore che proviene dalle tenebre del demoniaco verso il quale l'uomo, in rivolta contro la propria morte, si rivolge per proiettare fuori di sé i mostri immortali che placano il suo desiderio di vivere al di là del consentito.” [5]
Louis (Brad Pitt) in "Intervista col vampiro" di N. Jordan (1994) |
Ma non solo, come ricorda anche
Iris Gavazzi [6]
nel suo saggio su quella che viene definita una vera e propria
categoria, ovvero il “vampiresco”, ciò su cui si erge la figura
del vampiro è, innanzi tutto, la paura, leva estetica principe del
romanzo gotico, poiché contribuisce a suscitare quel sentimento del
sublime che, dal Settecento in avanti, diventa una delle questioni
fondamentali della filosofia estetica.
Burke
[7]
e, successivamente, Kant [8]
ne parlano come dell’ “orrendo che affascina”, di tutto ciò
che produce la più forte sensazione che l’animo umano sia capace
di provare ma che, a differenza del bello, il quale può essere
semplicemente (e asetticamente) contemplato, scatena in noi la
coscienza di essere a contatto con una potenza (quella degli elementi
naturali, ad esempio) e di esserne inevitabilmente sovrastati.
In secondo luogo, abbiamo il
brutto. Nel Settecento e nell’Ottocento l’arte – e quindi anche
la letteratura – inizia ad accogliere in maniera esplicita la
bruttezza e la considera importante tanto quanto la bellezza.
Filosofi come Rosenkranz [9]
(allievo di Hegel) – ma, andando a ritroso, citerei anche De Sade –
comprendono perfettamente che l’arte non può più limitarsi a
rappresentare il bello, ma anzi, vista la tendenza a raggiungere
masse sempre più estese, deve scendere nei “bassifondi”, come
direbbe Baudelaire, per esplorare il lato brutto e perfino mostruoso
dell’esistere.
In conclusione, dunque, il Vampiro
piace perché si trova al confine (e non appartiene completamente) a
nessuna delle coppie di opposti che spezzano la nostra identità:
bello e brutto; buono e cattivo; vero e falso; vita e morte in lui
convivono con mirabile equilibrio pur non essendo egli un dio ma una
strana evoluzione dell’essere umano. E, in un mondo nel quale gli
dei, gli eroi e i super-eroi, sono quasi tutti definitivamente
morti, non è cosa da poco.
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